Un tempo.....com'era dura la vita!

Così Romano scriveva, dal Belgio, al fratello rimasto a Costalissoio:

Belgio 26-6-1912

Carissimo fratello, scusami del mio ritardo, il tempo non mi favorì prima di scriverti perchè dovetti lavorare anche la festa. Dunque questa è la nostra compagnia che siamo qui in fabbrica. Il mio lavoro è quello di scaricare vagoni. Io per la mia persona non mi lamento e guadagno le mie sei marche al giorno.
Altro non so cosa dirti se hai la tua volontà di portarti qui mi farai noto con un tuo. Per mancanza di lavoro non manca mai
qui si potria star in vita. Altro non
ti dico fai ciò che vuoi. Ora le condizioni di qui sai tutte. Altro non posso allungarmi. Ricevi i più aff.si da tuo fratello Romano.

scarico di carbone

(dal Bollettino Parrocchiale)
Dicembre 1985 - da una intervista a Matilde De Bolfo dei nostri ragazzi della 5^ elementare riguardante la vita di Costalissoio nei primi anni del 1900. Le domanda riguardavano: alimentazione, lavoro, vestiario, abitazione, divertimenti. Così rispondeva:

" Oggi la regina della tavola è la pastasciutta, una volta era la polenta: polenta fritta, polenta con il latte; polenta a mezzogiorno, polenta alla sera e polenta a colazione. Accanto alla polenta si mangiava il "möss" fatto con latte, acqua e farina. Durante i giorni feriali si mangiava minestrone e fagioli, nei giorni festivi gnocchi o tagliatelle fatte in casa. C'era miseria, ma prima del 1900 c'era di più".
Nei campi si coltivavano: orzo, lino, segala, frumento, fave, piselli e specialmente patate. Negli orti si coltivavano: aglio, cipolle, rape e ravanelli.
A Costalissoio c'erano pochi negozi, nei quali si comprava olio di semi, perchè costava di meno. Tutte le famiglie allevavano animali per vivere: mucche, molti maiali, pecore, conigli e galline. La carne veniva conservata in grandi stanze appesa al soffitto, dopo essere stata affumicata, oppure messa in grandi mastelli con acqua e sale e lasciata per alcuni giorni.
Gli uomini lavoravano nella campagna e nei boschi. I tronchi venivano trasportati con la corrente dei fiumi. Per questo tutte le segherie erano e sono vicine ad un fiume. C'era il problema dell'emigrazione: molti emigravano in Austria e nell'odierna Pusteria dove facevano i "clomper". 

 

(immagine tratta dal sito comelicocultura.it)

Le donne, una volta, non avevano il lavoro fuori casa come adesso, ma la loro vita era più difficile e faticosa. Le attività più pesanti erano quelle di zappare i campi, di portare il concime in enormi gerli sui prati più lontani.
- "Pensate che le donne più brave avevano la forza di sferruzzare con il gerlo sulle spalle!!!".

Una volta non c'erano gli elettrodomestici e la donna doveva fare tutto a mano: lavare in grandi mastelli di legno con la cenere, trasportare l'acqua con i secchi di rame usando il "zampdon" . 

 

 

(immagine tratta dal sito comelicocultura.it)


Le case a Costalissoio erano di legno e di pietre prese sugli argini dei fiumi. I fienili erano attaccati alle abitazioni. Infatti nel 1884 ci fu a Costalissoio un incendio che distrusse il paese.

 L'interno delle case non era completato. I mobili erano semplici e scarsi: una tavola, delle panche e degli "scagnei". C'era il "larin" con la catena ed il paiolo attaccato, dove si faceva il fuoco.


Le stanze venivano illuminate da lanterne appese al soffitto e funzionavano ad olio. Le cucine e le "Stue" venivano riscaldate dal forno del pane.
Il pane si faceva in casa allora: pane di segala. Lo facevano non ogni giorno, ma in base ai componenti la famiglia!
I letti venivano riscaldati con mattoni caldi avvolti in panni bianchi e puliti. I giocattoli preferiti dai bambini erano utensili rotti di terracotta e bambole di stoffa. Matilde ha ricordato con nostalgia l'amore più grande che c'era nelle famiglie del passato.

Appunti storici (dal Bollettino Parrocchiale- a firma di don Aurelio Frezza)
Le antiche condizioni di vita

Se si accetta la tesi della tradizione, diciamo che il paese di Costalissoio ebbe origine allorchè "13 ladri" si rifugiarono quassù per sfuggire ai rigori della Giustizia e innalzarono le prime capanne più a monte in posizione isolate. Quando non si sa. Più tardi scesero in basso, a mt. 1248 sul mare, dove ricostruirono le loro case rudimentali con tronchi d'albero, vicine le une alle altre, per meglio difendersi dai briganti e aiutarsi a vicenda.
E' certo che i primi nuclei di case e i primi paesi non furono costruiti a fondo valle, che non costituivano allora un motivo di attrazione per mancanza di strade e per l'inesistente traffico di gente e di commercio, ma in alto sulla montagna, che offriva maggior sicurezza co0ntro il dirompere delle acque e il pericolo delle invasioni e dei malintenzionati e che metteva la gente più a diretto contatto con le fonti di vita: i prati e i boschi.
Questo ragionamento vale per un tempo remoto, mentre noi ci troviamo a parlare di situazioni e fatti più recenti, quando l'aumento della popolazione non è dovuto a immaginazione, ma a naturale incremento delle famiglie già fissate alla montagna.
Tale incremento porta alla costruzione di nuove abitazioni, qua e là, dove il terreno inclinato e ondulato meglio permetteva, in piena libertà.
Le vie non esistevano, ma solo sentieri tracciati dal via-vai degli abitanti che portavano da una casa all'altra.
I disagi dovevano essere rilevanti e i buoi, che trascinavano i tronchi o i carretti cigolanti, dovevano fare una bella fatica su e giù per queste balze. Solo dopo l'incendio del 1884, che aveva fatto piazza pulita delle case in legno, si costruirono case in muratura e si tracciò una rete stradale interna con passabile criterio.
Il tenore di vita degli abitanti, doveva essere duro, sia per le fatiche, sia per la scarsità di cibo.
L'alimento quotidiano era fornito dalla terra, che fino alla prima guerra mondiale, era fertile e produceva avena, orzo, granoturco, fave, patate, ravi. Ma non doveva essere abbondante, date le piccole estensioni di terreni coltivati e se si utilizzavano perfino le foglie dei ravi, con cui si faceva una specie di Kraut. In autunno le donne ammucchiavano queste foglie sotto un riparo di tavole messe in piedi a forma di piramide, le cospargevano di sale rosso (il sale bianco era costoso e difficile da procurarsi) e le lasciavano fermentare tutto l'inverno. In primavera erano pronte per fare minestroni molto salati. La carne era un lusso (c'era una sola macelleria in tutto il Comelico), il caffè era per gli ammalati, il vino lo si beveva, da chi aveva qualche soldo in tasca, soltanto in qualche bugigattolo di osteria.
Quanto al vestiario, vediamo ancora le donne al lavoro. Seminavano in primavera il lino e la canapa, che in autunno, dopo un periodo di essiccazione, maciullavano con la "gramola" fino a ricavarne le fibre lisce e morbide.
L'inverno era il tempo propizio per filare tali fibre, e la lana che le pecore fornivano per il fabbisogno di casa.
Le donne più abili confezionavano gli abiti per la famiglia; per un lavoro più ricercato si servivano del sarto, che cuciva tutto a mano.
I Sartor attuali discendono da uno che faceva il sarto, come i Sartorel hanno per loro capostipite un'altro sarto, che doveva essere piccolo e di minor conto.
Pure, nonostante tanti disagi e scarsità di cibo, la gente, che superava le molte malattie e ne restava immunizzata, cresceva robusta e longeva. Le donne erano forti e ben sviluppate: allattavano il bambino fino a 3-4 anni.
I piccoli nascevano in gran copia, ma anche assai di frequente suonavano le campane a gloria: erano i più deboli, che venivano accompagnati al cimitero.
I sopravissuti, i selezionati dalla natura, potevano affrontare la dura vita con una certa sicurezza. Immaginiamo questi ragazzetti, vestiti con il solo indispensabile anche nella stagione rigida, calzati di zoccoli, che, entrando in chiesa, dovevano essere lasciati fuori dalla porta e che venivano abbandonati non appena Marzo cominciava a scoprire qualche chiazza di terreno: era allora un correre a piedi nudi fino alle soglie del nuovo inverno; questi ragazzetti che si nutrivano di poco cibo, di pochissimi grassi, di rarissime variazioni al menù quotidiano, al punto che le croste di polenta costituivano il dolce agognato e sognato: ebbene, era da questi ragazzetti scalzi e denutriti, che saltavano fuori gli induriti boscaioli e i forti alpini.
La spiegazione? La spiegazione, si è detto, stava nei cibi sani e naturali, nella vita all'aperto, allenata alle fatiche e ai disagi. Laddove, si osservava che i cibi artificiali e la vita comoda di città non potevano che produrre organismi gracili e delicati.
Comunque sia, penso che un  tal ragionamento non convinca nessuno degli uomini, donne, bambini d'oggi a preferire i tempi passati.