Fino a quando radio e poi TV non hanno raggiunto i nostri paesi ovvero fino a 70 anni fa, complice anche la solidarietà che univa le famiglie del vicinato, spesso ci si incontrava sulla panchina della via o in serata nelle cucine riscaldate in inverno e non si discuteva di politica ne tantomeno di filosofia ma dei problemi quotidiani della vita contadina, dei familiari migrati, delle guerre passate insomma delle vicissitudini. Facevano “colpo” le storie che toccavano la sensibilità delle persone e soprattutto
dei bambini tanto che il buio incuteva sempre paura.
Una fra quelle che più impressionavano, probabilmente raccolta da qualche lettura, ho chiesto al nostro Giovanni De Bettin di raccontarla.
(Riccardo)
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“Nelle sere fredde e scure presso il fuoco del camino, quante fiabe e quante storie, raccontava il mio nonnino”. Non tutti i bambini hanno avuto un nonno che gli parlava dei fatti accaduti nel passato, trasmessi a loro volta dai loro nonni, che assicuravano rispondenti a verità, e credibili fino al punto che nessuno potesse metterli in discussione. Nelle case del paese in quei tempi, vi erano delle donne che si sostituivano ai vecchi, convinte di tramandare ai bambini e giovani, la storia e gli avvenimenti del passato. Fatti misteriosi, spesso
collegati a segnali premonitori : colpi secchi, (strupe – in dialetto), voci udite, visioni di defunti, e chi più ne ha, più ne metta. Fatti successi nel profondo della notte. Il racconto che segue ebbe inizio durante una serata danzante. Un giovane che vi partecipava da spettatore, innamoratosi follemente di una donna, subì un trauma e un grande dolore, per la morte della creatura che amava più della sua vita. Seguendo i balli, senza parteciparvi, scorse nella folla una giovane vestita di
bianco, che assomigliava come una goccia d’acqua alla sua fidanzata morta. Ebbe un sussulto, il cuore gli batteva forte. Durante la pausa della danza, fattosi coraggio, le si avvicinò e le chiese di ballare. Lei acconsentì , e ballarono l’intera serata senza parlarsi, stringendosi fortemente l’uno all’altra. Terminata la danza lui le chiese di accompagnarla a casa. Le offrì un caffè. Una goccia le cadde sul vestito bianco. Si incamminarono lungo
la strada che portava verso la periferia. Lei improvvisò una canzone: “O che bel chiaror di luna, viva i morti a far l’amor”. Lui dapprima stupito, non si accorse che dopo le ultime case, lei continuava il percorso verso il cimitero. Arrivarono sul portale del camposanto. Lei scomparve. Turbato e confuso, forse impaurito, non riusciva a capacitarsi di quanto accaduto. Non dormì quella notte. L’indomani di buon mattino andò al cimitero. Appeso alla croce della sua amata, vide il vestito bianco con la macchia di caffè caduta la sera dell’ultimo incredibile loro incontro.
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