Pillole di storia del mese di GIUGNO 2016...

Tratto dal libro "GUERRA E RESISTENZA IN CADORE"

di Walter Musizza e Giovanni De Donà

 

(Capitolo "Gli avvenimenti dall' 1 al 15 settembre '44")

 

 

...siamo nel 1944 - estratto che riguarda il nostro Comelico...

 

.....segue dal mese di maggio 2016

 

Continua   ......

Il 10 settembre avvenne un importante scontro a fuoco tra partigiani e reparti tedeschi al Passo Siera, che mette in comunicazione la Val Pesarina con la conca di Sappada, sfruttando sul versante meridionale una strada militare della Grande Guerra. Qui, per l'importanza della posizione, il Comando della Brigata Garibaldi Carnia aveva dislocato un posto fisso di osservazione e difesa, formato da pochi uomini nascosti su un cucuzzolo prospiciente Sappada, col compito di segnalare eventuali iniziative nemiche dirette verso la Val Pesarina.

Nelle prime ore della notte del 10 settembre si avviò da Sappada verso il passo una lunga colonna di circa 300 tedeschi, formata in gran parte da riservisti reclutati in Alto Adige e a Livinnallongo. Nei giorni 7 ed 8 settembre il gruppo, tenuto all'oscuro delle finalità dell'operazione, s'era raccolto nell'ex caserma dei Carabinieri Reali di S. Stefano: una parte era giunta a piedi attraverso il Passo di Monte Croce proveniente da S. Candido, un'altra era arrivata da Cortina, utilizzando la ferrovia fino a Dobbiaco e quindi degli automezzi fino a S. Stefano. Poiché la strada normale dal Passo a Padola era intransitabile per il sabotaggio di un ponte ad opera dei partigiani, venne utilizzata la vecchia strada, a malapena carreggiabile. Ben presto si divulgò la notizia, dentro e fuori la caserma, che questi uomini erano destinati a dare una risposta all'azione partigiana di Presenaio del 5 settembre e a tentare di liberare la decina di prigionieri tedeschi fatta in quell'occasione. L'ordine di adunata e partenza arrivò verso le tre pomeridiane e il grosso della compagnia si mise in marcia in fila a tre a tre sullo stradone polveroso, tenendo una distanza di 5 metri tra un uomo e l'altro, preceduto e seguito da gruppi in fila indiana, che tenevano una distanza di cinque metri tra un uomo e l'altro. Erano stati lasciati a S. Stefano i sacchi da montagna e i tascapane, cosicché tutti ritenevano di essere impiegati in una semplice ricognizione. La meta invece era Sappada, raggiunta dopo quattro ore di cammino alle prime ombre della sera, dopo essere passati, invero con molti timori, sui luoghi stessi dello scontro di Presenaio, dove al proprietario stesso dell'albergo furono richieste informazioni. Vennero alloggiati in un albergo vicino alla strada, salutati con piacere dal locale Presidio. Verso le ore 10 del 9 settembre arrivarono due camion carichi di soldati, dalle giubbe multicolori, armati molto meglio, e soprattutto più giovani: erano membri della Polizia n. 1 ed erano dotati di mitragliatrici e di un cannoncino. Questi proseguirono verso il centro di Sappada e nelle prime ore del pomeriggio si sentirono, in alto, fra le rocce, sul versante destro, circa 10-12 colpi. Intorno alle 17 si vide innalzarsi verso Passo Siera un denso fumo, indizio di fienili incendiati. Alle 5 del 10 settembre, una domenica, i riservisti, con viveri per tre giorni ed un carico complessivo di 30 chili, divisi in gruppi di 12, passarono il Piave e attraversarono il bosco alla volta del Passo Siera. La salita nell'ultimo tratto era dura, con tratti di scalinata a poggioli in legno e su sentiero ripido e stretto, speso scavato nella roccia. In un boschetto di larici un forte odore di bruciato si diffondeva nell'aria: erano i resti del fienile di montagna cui i giovani avevano appiccato il fuoco il giorno prima. Tale atto vandalico, che veniva ad annichilire i tanti sacrifici di una povera famiglia, venne disapprovato "ad unanimità" dagli anziani riservisti. Dopo tre quarti d'ora di ulteriore salita il gruppo, verso le 8 del mattino, arrivava al passo e alla piccola conca contornata da rocce, con pascoli magri e sassosi. In alto si vide una larga cortina di fumo e si sentì lo schioppettio delle fiamme: i giovani stavano dando alle fiamme un baraccamento, composto da un ricovero per il bestiame e un ricovero per i pastori, nonché da altre piccole bicocche vicine.

Verso le 9 del mattino venne incendiato pure il ricovero con lunga tettoia (circa 40 metri) della casera "Siera di Sotto" (m 1430): le bestie ricoverate erano state cacciate via, i pastori (un uomo di circa 60 anni ed un ragazzo di circa 13 anni) avevano ricevuto l'ordine di portare all'aperto le loro masserizie ed il fuoco era stato appiccato ai due lati del fabbricato.

Allorché il reparto di polizia n. 1 si era avvicinato al passo, i quattro garibaldini ivi appostati avevano cercato di contrastarlo, ma vistisi presi da una manovra avvolgente, si erano a poco a poco ritirati, saltando di roccia in roccia, ed uno era corso precipitosamente a valle per dare l'allarme in Val Pesarina. Quando il reparto tedesco, scendendo prudentemente, si avvicinò al fondo valle alle prime luci dell'alba, si trovò di fronte un reparto di circa 50 garibaldini, frettolosamente raccolti e comandati da "Ivan" (Livio Toniutti). Nonostante l'inferiorità numerica, i garibaldini, perfettamente a loro agio su quel terreno ben noto, riuscirono con tre soli mitragliatori e poche munizioni ad assumere l'iniziativa e a ricacciare indietro i tedeschi. Un mitragliatore ben appostato dei partigiani cominciò a battere la mulattiera, mentre un secondo mitragliatore cominciò ad aprire il fuoco da "Questamus" ed un terzo incrociò il tiro da "Tesis"; un quarto infine rinforzò il fuoco dei garibaldini da fondovalle. Dopo due ore di fuoco a distanza vieppiù ravvicinata, i nazisti iniziarono a rinculare, ritirandosi frettolosamente verso il Cadore.

Nel frattempo Osvaldo Fabian "Elio", sentendo il rumore degli spari, aveva raccolto a Prato un buon numero di compagni della "Guardia del Popolo", tra cui 1'arch. Della Marta e l'allora studentessa D'Agaro, e si era precipitosamente portato sul luogo del combattimento. Il gruppo arrivò agli stavoli di "Culzei", dove ottenne notizie confuse sul succedersi degli eventi e dove si udivano fitte raffiche di mitragliatore provenienti dall'alto. Si portò quindi sopra "Tesis", dove furono scorte copiose macchie di sangue sul terreno, con bende e cotone insanguinati, e da qui proseguì ancora in salita fino alla malga "Siera di Sotto", fermandosi a riposare, anche perché nel frattempo non si sentiva più sparare.

Finché il gruppo dei giovani militi nazisti aveva continuato ad avanzare, gli anziani riservisti lo avevano seguito ad una certa distanza, prima sostando sull'orlo della strada nei pressi della stalla in fiamme e poi nascondendosi nel bosco per l'azione di una mitragliatrice dei partigiani che sparava contro di loro, seppur da molto lontano. Riuscirono a scendere parecchio verso la Val Pesarina, fino alla zona prativa, da dove si riusciva a scorgere perfino dei civili nei pressi delle loro case. Allorché i militi giovani furono costretti a ritirarsi velocemente, vennero a mettere in chiara difficoltà lo stesso gruppo degli anziani riservisti che in disordine riguadagnarono il fitto bosco, incalzati da raffiche e da detonazioni che qualcuno riconobbe come tipiche delle granate a mano inglesi. Ad un certo punto tra i tedeschi che si ritiravano venne a trovarsi un partigiano, che di corsa sembrava cercare pure lui scampo: un tedesco gli sparò contro, senza peraltro essere sicuro di averlo preso. Un portatore della cassa munizioni del gruppo di riservisti inciampò e cadde, facendo rotolare la cassa lungo il pendio della valle. Finalmente la colonna dei vecchi riservisti raggiunse la zona del passo, dove dei due stalloni non rimaneva che un ammasso di cenere e legname bruciato, e da qui proseguì subito senza soste alla volta di Sappada. Solo nel bosco soprastante il paese fu dato l'ordine di ricostituire i gruppi e di riposare. Si fece l'appello dei presenti e risultò che due erano feriti e quattro erano dispersi. Il comandante dell'azione, certo primo Tenente Gabriel, inferocito per l'esito infelice di quell'azione, tenne un breve discorso affermando che ben pochi tra quei riservisti avevano doti di soldato e che la maggior parte non valeva nulla. Poi la compagnia rientrò a Sappada quando già si faceva sera.

Va ricordato però un episodio abbastanza sorprendente capitato al gruppo dei partigiani del Fabian. Quando costoro giunsero alla malga "Siera di Sotto", assetati com'erano, non rinunciarono a bere ad una piccola fonte che scaturiva dalla roccia e che il malgaro aveva abilmente incanalato con una "sarea" di legno fatta a forma di grondaia, e così fecero altri partigiani dell'avanguardia. Quando tutti si ritrovarono alla malga "Siera di Sopra", sotto un fitto nevischio, avvenne che alcuni improvvisamente divennero lividi in volto e stramazzarono a terra. Si constatò subito che presentavano viso cianotico ed altri chiari sintomi di avvelenamento. Lo stesso comandante "Ivan", fattosi pallido in volto, cadde a terra. Tutti i malati furono trasportati in qualche modo su improvvisate slitte verso gli stavoli "Culzei" e quindi a valle, presso l'ospedaletto organizzato nella sala della Casa del Popolo di Prato. Accorsero diversi medici, primo fra tutti il dr. Liotta, che ordinarono di ingurgitare molto latte e che somministrarono altre medicine, invero efficaci se gli avvelenati guarirono in una decina di giorni. Si ricostruì poi che i tedeschi do­vevano aver gettato alcuni pacchetti di potente veleno nella "sarea" della malga, come ultima vendetta prima di ritirarsi.

Il Comandante della Brigata "Tredici", informato che il Passo Siera era rimasto senza presidio, dispose che il Fabian, in attesa di rinforzi adeguati, mobilitasse tutti gli uomini disponibili della "Guardia del Popolo" e dei G.A.P. della Val Pesarina, per stornare un atteso ritorno tedesco lungo la solita direttrice. Però i nazisti non ebbero assolutamente sentore della debolezza partigiana e non si fecero più vivi in zona fino alla grande offensiva del tardo autunno.

Il giorno 11 settembre i riservisti tedeschi del II Zug, verso le 10, furono portati con autocarro con rimorchio a Cima Sappada per levare i reticolati che circondavano l'albergo dove era acquartierato il presidio che ora veniva ritirato. Verso le 13, ultimati i lavori, tutti ritornarono a Sappada e da qui si portarono a S. Stefano, dopo aver scelto peraltro 60 o 70 uomini che dovevano dare il cambio al locale presidio, già in servizio ormai da quattro settimane. Il giorno 14 settembre, verso le 2 di notte, le sentinelle videro un rosso bagliore innalzarsi nel cielo seguito da una cupa detonazione.

Alla mattina giunse la notizia che i partigiani avevano fatto saltare il ponte tra S. Stefano e Sappada, ma i riservisti tedeschi del III Zug ebbero fortuna: nelle prime ore del pomeriggio furono portati con camion a Padola e da qui a piedi lungo la vecchia strada salirono al Kreuzberg, diretti a Toblach, per prendere il treno per Cortina. Sul passo incrociarono altri riservisti provenienti da S. Candido e diretti alla volta di S. Stefano.