Pillole di storia del mese di Agosto 2018

Dal bel libro che la prof. Anna Comis (insegnate a Pieve di Cadore) ha dedicato ai suoi genitori ed al paese di origine: Casada.
Pubblicato nel 2003

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Copiate parti che sono comuni ai nostri paesi.


Dal capitolo "Economia"    ...si legge "Casada" ma vale lo stesso per Costalissoio.

....... seguito del  capitolo pubblicato nel mese di Luglio....

 

 

L’attività primaria era l’allevamento del bestiame. Nell’ Ottocento e nel Novecento venivano allevati: mucche, vitelle, maiali, pecore e capre. Queste ultime soprattutto da quelli che non possedevano prati sufficienti per ammassare fieno nella quantità necessaria al mantenimento dei bovini nel periodo invernale.

Indispensabile, per un proficuo allevamento, era avere un buon raccolto di fieno. “Nelle vicinanze dell’abitato, secondo la stima Miari, i prati in generale venivano concimati ogni due anni ed alternativamente ogni sei anni circa ridotti a campo e, dopo altri sei, erano lasciati in riposo e ad uso di prato che acquistano il nome di Vara ossia prato grasso. Secondo la loro posizione i prati potevano essere concimati mediante l’introduzione in essi, alle opportune stagioni, delle acque grasse e temperate che apportavano ai medesimi il concime”. Il concime veniva pure trasportato con la “lioda” e sparso qua e là sui prati verso la fine di febbraio o nella prima quindicina di marzo dopo che, sulla neve con le “ciaspe”, si era provveduto a tracciare una specie di strada. Lo scioglimento della neve avrebbe facilitato l’assorbimento del concime. “Ogni anno si procedeva a pulire i terreni dai sassi e da altro materiale spinto in superficie dalle talpe. I campi venivano concimati ogni anno ed arati con l’aiuto di un paio di manzi. Per concimare i fondi, sia arativi ogni anno che prativi ogni due, occorreva che il proprietario fosse provvisto dei seguenti animali: 6 armente, 2 giovenche”. I prati nonostante venissero così opportunamente curati consentivano solo due tagli di fieno all’anno. Il primo taglio iniziava verso la metà di giugno. I falciatori iniziavano a falciare alle prime luci dell’alba in modo che la rugiada facilitasse lo scorrere della lama e che l’erba tagliata potesse asciugarsi al sole nelle ore centrali. Verso le 7.30 facevano una pausa e approfittavano per fare colazione, quindi riprendevano lo sfalcio e continuavano fino alle ore 10 circa e cioè fino a quando il sole cominciava a scaldare troppo. Gli “andei” che si formavano con il taglio della falce venivano “spanti” con una forca di legno o ferro dalle donne e dai bambini. Il prodotto dello sfalcio, dopo essere lasciato sparso al suolo per l’essicazione, veniva raccolto il giorno successivo se il tempo lo permetteva, diversamente veniva ammassato sui cosiddetti pali da fieno, piantati verticalmente nel terreno e vi rimaneva finché era asciutto. L’erba, una volta secca, veniva raccolta in “viestre”. Ogni 5-7 di queste bracciate di fieno pressato venivano raccolte in un fascio e legate con la “funathela” corda di cuoio oppure con il “righin” corda di canapa. Il fascio, trasportato solitamente dagli uomini, era issato sulla testa con l’aiuto di uno o due compagni. Il fieno veniva conservato nel tabià (tabié) posto in paese o nel barco se i prati erano lontani dall’abitato. Il “tabié” era un fabbricato rustico con stalla nel piano inferiore e, sopra, il deposito del fieno, l’aia (èra) interna, spazio posto tra la porta piccola e quella grande usato come passaggio per andare in soffitta, nel periodo autunnale era utilizzato per battere l’orzo e la segala. Gli ampi ballatoi (pnize) venivano utilizzati per essiccare i prodotti dei campi o il lino od il fieno se a causa del cattivo tempo non si era essiccato adeguatamente sul prato. A Casada i tabià di grandi dimensioni erano usati da più proprietari.

Chi terminava la fienagione prima poiché aveva meno prati, aiutava gli altri. Terminata la fienagione verso il 22 luglio, S. Maria Maddalena, delle “vare” vicino al paese, iniziava quella dei “colnei”, cioè dei lotti di segativo, in alta montagna.

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