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(Narrata dal sig. Luigi Zaccaria
detto Folin di 52 anni (nel 194...)
Versione dagli "appunti storici" di
don Aurelio Frezza
La "grande causa" con i Solero di
Sappada.
La gente di Costalissoio usava
andare ogni anno in pellegrinaggio a Sappada il 12 luglio , festività
dei Santi Ermagora e Fortunato. Vi andava in processione con il
Mansionario, i merighi, i cantori eccetera.
Questi ultimi, con i porta-croci e altri
inservienti, dopo le sacre funzioni andavano a consumare un pasto in una
trattoria, che era di proprietà di un prete di Sappada e di un suo
fratello sposato di cognome Solero.
Mangiavano, ma non pagavano. Ciò doveva
essere successo alquante volte; e il conto restava sempre insoluto.
I padroni della trattoria, visto che non
riuscivano a farsi pagare dalla Fabbriceria o dalla regola di
Costalissoio, fecero porre un'ipoteca sul bosco di Val Bona in Val
Visdende.
I Costalissoiesi si vennero a trovare in
un bel guaio: non potevano più sfruttare il bosco e la fame era tanta.
Ma che pensano di combinare?
In primo luogo vanno ad individuare un
rio, che divide in due il bosco e vi tracciano dei segni di confine,
così da far apparire due zone distinte, ad una delle quali danno il nome
di Pra Marin, per sottrarla agli effetti dell'ipoteca. Una astuzia che,
però, doveva servire a poco.
Poi di "contrabbando" cioè di nascosto,
andarono nel bosco, e precisamente nella zona detta Pra Marin e
tagliarono piante a più non posso, "per poter vivere", si
giustificheranno poi.
La faccenda trapela e la notizia arriva
fino a Sappada. E da Sappada viene fuori a cavallo il prete e, resosi
conto di quanto stava succedendo, attacca processo a Venezia.
Si era sotto l'Austria e gli Austriaci
erano severi: a Costalissoio si capì che si stava correndo serio
pericolo.
Allora gli amministratori di
Costalissoio, furbi, inviarono a Venezia tre delegati a pregare
l'Autorità che il processo venisse spostato a Pieve di Cadore: perchè
essi erano poveri, non avevano neanche da mangiare e non potevano fare
viaggi lunghi e dispendiosi. Tanto piansero e pregarono che il processo
venne realmente trasferito a Pieve.
Ma con astuzia avevano chiesto tale
trasferimento.
Penso che sulla tradizione orale abbia un
po' ricamato la fantasia popolare, perchè si dice che, con la
"baronada", i delegati di Costalissoio, prima di presentarsi in
tribunale, si fossero confessati e avessero fatto testamento, come chi
sa di andare incontro alla morte (astuzia anche questa o paura vera?).
Nel contempo però si fecero prestare da
un Pomarè Montin L. 700, ricavate, pochi giorni prima, dalla
vendita di un paio di buoi, impegnando un pezzo di fondo. Tale somma poi
convertirono in tante monetine che, racchiuse in tanti sacchettini, si
portarono dietro, andando per i paesi del Cadore. Avvicinarono la gente,
grande e piccola, e distribuirono le monete, perchè i beneficiati
andassero davanti al palazzo della Comunità, il giorno del processo a
gridare: Costalissoio ha ragione! Costalissoio ha ragione! E tanto
gridassero finchè essi, i delegati, fossero usciti dal palazzo a
sentenza pronunciata.
Il che puntualmente avvenne.
Quali ragioni adducessero a loro favore i
delegati di Costalissoio, non si sa e non si sa come si sia svolto il
processo. Fatto sta che il Tribunale (spaventato dalle grida della
piazza?) assolse dall'accusa di aver tagliato piante ipotecate i
rappresentanti di Costalissoio, i quali tornarono in paese trionfanti.
Hanno poi pagato i debiti contratti a
Sappada?
Non riesco a precisare la data di questo
singolare episodio, ma può essere collocato nella prima metà del
1800, nell'arco di tempo che dalla caduta di Napoleone (1815) alla prima
guerra di indipendenza (1848).
* * * * *
....di
gridare: Costalissoio ha ragione!
Il Pretore quando ha sentito queste grida
all'esterno, ha zittito tutti per capire cosa urlassero e poi dichiarò:
sentite che fuori dicono che Costalissoio ha ragione e voce del popolo e
voce di Dio.
Ma arrivò comunque la condanna ad un
pagamento in denaro affinché i Solero non avessero da perdere il tutto.
Stabilì un tempo per saldare il debito, ma quelli di Costalissoio,
sapendo che a breve sarebbe cambiata la moneta, pensarono bene, ancora
una volta, di "gabbare" quelli di Sappada.
Partirono il giorno prima del cambio
della moneta, verso mezzogiorno, con un carro, al fine di arrivare sul
tardi a Sappada e tanto che questi non potessero più fare in tempo a
portare il denaro a Pieve per il cambio.
Il prete capì subito l'inganno e disse:
andate pure e che vi accompagni la maledizione: che il paese di
Costalissoio sia distrutto, ed al suo posto noi faremo un alpeggio per
cavalli.
Allora quello dei "Folin" rispose che
prima che Costalissoio diventi "una monte" per cavalli sorgerà un
sambuco sul suo tetto, (....il sambuco cresce nei posti abbandonati o
trascurati), di fatto tutti quelli
che si recarono a Sappada, nei tempi successivi, guardando "a sera" del
palazzo videro un sambuco non sul tetto ma comunque sul muro del
palazzo.
Pare però che a qualcosa sia sortita la
maledizione del prete: quando uno dei Pasqualon, quello che aveva
sostenuto la causa, andò in Val Bona per tagliare il bosco, rimase
sepolto sotto la prima pianta tagliata.(La
croce esisteva fino a pochi anni fa).
Oltre a questo, ogni disgrazia, in
generale, che capitava a Costalissoio come il fuoco del 1833 e del 1884,
si ritiene conseguenza di questi fatti.
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Da tance ane la frazion d Costlisëgn ave n
voto da di a Sant' Armagora in Sappada.
Era pievën un di Zoller e dop la
funzion invidea i omin a ceda soa e dadea n goto d vin n tin d
pën e algo da mangè a sta dente e dop tanc ane i partendea al
pagamento, e i frazioniste d Costlisëgn, siccome clëre n avea
mai ordnò se inpuntede da n pagà.
Allora i Zoller volea propriese
dal bosco de Valbona in Visdende.
Costlisëgn na volù zede e zna
riunion chi a avù e dude a vote duce i cap d fameia par vëde s
era duce d acordo par entrà in causa a ped i Zoller o par zede
la viza.
Un di Folins e un di Pascalon co
i a capù c na parte avarà zedù al bosco pitosto c fei la causa
parchè chi avè paura di Zoller che avea n pre n ceda e era
dente istruida, e sdoi a dito che pitosto che zede in cla
maniëra chi se asumea lëre privatamente da di ignante. |
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Alora e stade zitede a Pieve c in clota
era s noma la fora la Pretura, ma par paura che i Zoler avës da
mnà dintorno a fei perde, chel di Pascalon era d inze la stanza
a rend conto al pretor e chel di Folins c ave vandù un pai d
boi par le spese, era dante la porta e co e stò un bël momento a
ciapò e biciò fora nischè pugne d sode ze pieza e a dito ai
canai chi cride che Costlisëgn avea rason.
Al pretor d inze, co l a sintù a
fei duto sto bordël d fora a fato tade duce la inze par scoltà
che c era;
co l a sintù c duce quance
bagarea che Costlisëgn avea rason e voltò inze par sti siore (i
Zoler) e a dito: "Sintì mo c duce d fora crida che Costlisëgn a
rason e os dal popol e os d Idio"; ma a condanò Costlisëgn a
pagà n tanto in sode ai Zoler par tranzà duto e cni abia da
perde propro duto chel chi avea do. |
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Lëre avea n tanto d tempo par pagà sta soma, alora
i a pensò da tirè ignante parchè chi avea capù che i sode vece gne
ritirede, e d fato lëre e dude inze con un garton e avea ciariò duce i
sode c avea da es ritirede, ma par al dispeto chi avea e partide snoma
da maddì da Costlisëgn in maniera da arvè inze la inze tarde in mëdo che
i Zoller era oblighede a tirè fin a medanëte , ma n'avea pì tempo da dì
a Pieve a da inze la monëda, in maniëra chi a tirò inveze d sode
tanta fraza.
Al piavën co l a capù la baronada a dito:
" Di la voietre chei da dave na maledizion che Costlisëgn a da gnì
distruta e nei impiantaron la monte di ciavai gno ch ëde voietre la vila
(paese).
Alora chël di Folins a rispondù chinante
c lëre faza la monte di ciavai a Costlisëgn a da gnì un sambugo
sul so querto, e d fato inveze da gni al sambugo sul querto, chi c va a
Sapada e spia a sera dal palazo i vëde che inveze da gni al sambugo sul
querto e gnù tacò al muro.
Prautro i vëce vë cla madedizion dal pré
abia avù n tin d valor parchè la prima ota chi e dude a taiè in Valbona,
chël di Pascalon ca sostgnù la causa zal taiè la prima pianta se ciapò
sote e restò morto; oltre a chesto ogni disgrazia che capita in general
a Costlisëgn, con chè sto l fëgo dal tretatrei (1833), e anche chël dal
otanquatro (1884) se vë ch seia causa a chël.
(Narrata dal sig. Luigi Zaccaria
detto Folin di 52 anni (nel 194...)
Versione dagli "appunti storici" di
don Aurelio Frezza
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