Le "ongane" de Costlisëgn

(settembre 2002)

Ei incontrò sulla bancia di "Pure": Guido, Mario e Remo e savendo che lëre, chi par l'età chi par al laoro zi bosche e dla tera,  conose la vita pasada dal paes, ei aprofitò par domandà de chëlche storia che ricordau apëna. Con che sarau picio se se domandea come e con che nasù al paes e se sentia dì che cà, tera disabiteda, se era stabilide i deliquente scampade da Roma,...o dai romane. Calcdun ricordea che sempro s'èra dito che su a Stamazango e Corul s'èra stabilide un gruppo de dente par metà primitive e par metà zingar, come par dì che forse da lëre avone anche chelche disendenza. Come se sà nota se dea pëco a scola e la storia non sla savea. Non avendo radio e television la fantasia viadea e allora con che se se cetea zel cede dadsèra se contea storie sentide ma sle slongea e se ingrandia sempro ntin tanto che a sentile ades fa soride. 

E csì insieme ai strupe che se èra sentide dadnëte e al ciantade dla zvita (civetta) che fadea pensà a una minente disgrazia se contea anche la storia del' "ongane". 
     Con
l'intento da ricordà chël che par bona parte sè  bël dismantiò, ei tu insieme ste pëcie righe.

     Su su chëla che e la strada de giara che porta verso i barche de Corul, sora al pizel paes che era alora Costlisëgn, se era stablù un gruppo de dente che gnia dal' Ungaria o da chele bande. (ongane....ungane...Ungheria).
      L'fëmne era aute aute e magre, avea al petto grën tanto che i canaiute che l'portea doi la schëna mangea stando liò.
(calcdun ridorda ncamò ades che dnà femna "formosa" se didea a l' të..... come le ongane).
     I omin era grëgn e robuste tanto che con chi gnea dù a iutè a fei fëgn i fase chi portea era tanto grëgn che bisognea chi bicës du dante l'porte dal tabiè
parchè cni pasea inze.
     Vivea de pastorizia, avea fëde e ciaure e algo che i coltivea liò intorno. Vivea par conto sò e salvo chelche aiuto chi omin dadea a chei da Costlisëgn zi laore pdante in cambio de algo da mangè, non se fadea inze a ped la dente o forse la dente li rifiutea. 
    Avea fatto di barche gno chi stadea inze, vizin na vëna d'aga e distacade dai poste gno chi nose arvea a fei fëgn.
    Con che calcdun dea su sui prade a siè, lëre se avizinea e con che  gnea oferto un cëi
(scodela d'legn) con algo inze, dopo avei mangiò tirea la scodela du par la pala e ridea. 
    Con che e stada costruida la prima gëdia d'legn, zal 1.500,gno che adës e l'zimiterio dante i Bois e gnu sù al Vesco da Blun a bandì e sta dente e gnuda dù a vëde e stando d'fora spiea inze par le sfëse e con l'mëgn praria fadea ihh....hii..... (i tempe e l'avvenimento corrisponde...).
    Gilmo me conta che Tita Lucco didea che le ultime doe femne che era restade, vecie, magre, longe, era stade soplide sulla "costa di ciadarins" e che s'èra visto par tanto tempo i sëgne dla sepoltura.

Chesto e quanto n'camò se ricorda, la storia probabilmente era pì longia. Se capis che è ispireda alle "strie", seia par i ategiamente, seia par l'mëdo d'vive, seia parchè non pë ese vero. 

Fin ai nose none era convinzion che l'piode (fondamenta) de stì barche dimostrea clà storia era  vera. Remo me a portò su sul sò prà a Stamazango e me ha mostrò: su un bocon de tarëgn piën, i crëpe d'angul dla costruzion e  me assicura che fin a tempo fà se vdea anche i crëpe dl'arì  in medo , la vëna d'aga che e liò arente. La storia vera dis inveze che Corul era piën de barche che era usede dalla nostra dente.

Anche Guido me mostra la stessa roba sora al sò tabiè, vizin ai piëgn de Corul, anche liò i segne dna costruzion granda con na vëna d'aga vizin.

A Costa esiste un "circolo ricreativo" intitolò "Le Ongane" e anche lëre ha la so storia che copio dal giornalin:

....Questa è la storia delle Ongane di Costa che Celso De Tomas ci ha donato; a lui è stata raccontata prima degli anni '60 da Riccardo Janese.

C'era una volta.....un pastore di capre che le pascolava ai piedi delle Pale delle Ongane (località che si trova a circa 1000 metri da Costa in direzione nord-nord-est in zona denominata Vizza Dell'Acqua) ed osservava verso il monte Cavallino l'avvicinarsi del temporale.
Nuvoloni neri come mantelli dei carabinieri avanzavano ed occupavano già il Longerin e la Ferera; la zona si oscurava. Infine anche sopra di lui ed anche verso Costa arrivavano le nubi con la pioggia.
Egli sentì sulle Pale una voce di uomo che gridava: " Butta, butta!"
Egli potè vedere lassù sui crepacci delle donne vestite di nero con grandi fazzoletti in testa con grembiuli colmi di palline di ghiaccio e tempesta: erano le Ungane.
Guardavano sorridenti le nubi sopra di esse; mostravano i loro denti sporgenti e aguzzi. Mostrando lo sguardo sopra Costa rimasero serie e nervose: L'uomo chiamò ancora: " Butta, butta! Buttate che è ora, brutte schifose!" Ancora nessuna risposta, ed egli continuò con gli improperi. Allora una di esse rispose: " Non possiamo perchè le "chizze" (*) cioè le cagnette di  Costa abbaiano". (*) chizze:  cagnette-campane.


A Costauta le ciama "Onghene", come se pë vëde sote una pizla ricerca mostra che Ongane, Onghene, Anguane ecc. e storie che se conta da Udin a Trento e anche pì in basso.

La "Onghena" di Costalta
(dalla pubblicazione del Gruppo musicale di Costalta "Bela onghena"

...così la descrive il giovane pastore Simon alla madre Ustina....

USTINA: E come era fatta?
SIMON: Mah, mi è parso di vedere bei capelli lunghi, rossi, e che fosse vestita di velo...
USTINA: Che tu abbia visto la Madonna? Perchè è apparsa ancora ai pastori....
SIMON:  Mamma! Intanto io non sono un bigotto, e poi se fosse stata la Madonna non sarebbe scapata...Io ci ho tanto riflettuto nel ritornare a casa e penso sia stata una onghena.
USTINA: Ma cosa dici, una onghena bella?!! Non sai che le onghene sono donnone lunghe e magre, tutte scheletrite, vecchie, con i capelli bianchi e vanno in giro soltanto di notte ed in molte..
SIMON: Mah...
............
Un giorno, ai primi di settembre Simon, con la scusa di un lotto di legna, volle passare nuovamente Sotto le Crode (...m. S. Daniel). Nemmeno una nuvola nel cielo azzurro; il bosco era vuoto d'ogni suono e Simon faceva attenzione a camminare sul muschio e sull'erba perchè non si sentissero nemmeno i suoi passi. Ascoltava il ritmo del suo cuore che batteva più forte, ma non aveva paura. "Vorrei vederla ancora" pensava "non riesco più a toglierla dalla mente! Diavolo od onghena vorrei vederla ancora". Mentre pensava ciò, sentì lontano una voce che cantava. Si fermò, tese le orecchie per capire da dove venisse. Più o meno dalla parte in cui l'aveva vista. Allora lentamente si avviò verso quel luogo, leggero come un capriolo, nascosto dietro gli alberi ed arrivò vicino a Pian Piccolo. Il bosco si allargava e tra le felci ed i mirtilli ciò che egli sperava ci fosse, era lì davanti ai suoi occhi: una donna bellissima, dai capelli rossi, avvolta da un bianco velo, cantava con una voce che Simon non aveva mai udito l'eguale e ballava con passi così leggeri che sembrava volasse. 
Poteva essere trascorso un minuto od un'ora: Simon era rimasto paralizzato e beveva con gli occhi quella visione come acqua fresca di sorgente. Sembrava che il tempo si fosse fermato... Ad un certo punto lei lo guardò, tacqe il canto, sorrise, con i suoi occhi verdi lo strgò e mentr si avviava lentamente verso il bosco, si girava e gli faceva cenno di seguirla. Ma Simon non ebbe nemmeno la forza di muoversi. La guardava ed i suoi occhi inseguivano il bianco del velo finché sparì tra i rami d'abete.
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Enrico De Lotto  così scrive..... (studioso di storia del Cadore, scomparso negli anni '60)

Certo il santuario di Làgole era molto importante, sino ad oggi il più importante della regione, non solo cadorina, ma del Bellunese ecc. Il ricordo di Ecate e delle benefiche ninfe pagane delle fonti si perpetuò probabilmente nelle superstizioni popolari medioevali, nel mito delle "Iongane", divinità fluviali ed acquatiche (dal latino "aquana") divenute malefiche con il cristianesimo. Il ricordo di questi esseri misteriosi e paurosi è vivo nella tradizione cadorina e alpina. Ancora oggi vi sono, sia a Làgole che in molti paesi del Cadore, delle grotte chiamate delle "Iongane" o "anguanes". Nella superstizione popolare la "Iongana" (o "anguana", nel dialetto di S. Vito e di Cortina) è una donna dai lunghi seni (ricordo dell'antico mito!) con i piedi di capra.

Non si può escludere che Ecate, concepita ormai come ninfa, protettrice della fonte, sia diventata malefica "Iongana" col cristianesimo e che il suo tradizionale potere salutifero sia passato alla Madonna della Salute, chiesetta assai antica nelle vicinanze di Làgole, nella quale si conservano alcuni quadretti (molto trasandati) di ex voto.

Nella stessa chiesa vi è un altare dedicato a S. Lucia (protettrice dei malati di occhi) ed a S. Apollonia (protettrice dei malati di denti)...                                                                                                                  

 

                                                                                      ...viste da Tiziano >>>

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...dal Quaderno 16 del Museo Etnografico della Provincia di Belluno-LEGGENDE E CREDENZE DI TRADIZIONE ORALE DELLA MONTAGNA BELLUNESE  - ESSERI FANTASTICI FEMMINILI

     Anguane, Gane, Vane, Aivane, Longane, Ongane sono appellativi che definiscono nel Bellunese alcune figure fantastiche femminili legate all'acqua, alle grotte e ai boschi. Queste denominazioni sono riconducibili al latino popolare Aquana - ninfa, ondina, creatura delle acque, ma non si può escludere la possibilità di una derivazione dal celtico Adgana.
     Nel patrimonio di tradizione orale sono numerosi i racconti leggendari che riguardano questi esseri mitici, attestati soprattutto nelle aree ladine dell'alto Bellunese, anche se la microtoponomastica  documenta la diffusione delle credenze sulle Anguane in quasi tutta la provincia. Queste leggende presenti nelle opere dei folkloristi di fine secolo, sono state ampiamente utilizzate e rimaneggiate in raccolte come quelle di Karl Wolff.
     La natura delle Anguane sembra essere duplice e ambigua. Sono belle donne e vanitose che fanno il bagno tutti i giorni nei laghi, per accrescere il loro fascino. I loro abiti, che in altre aree del Veneto sono bianchi, possono essere di alghe verdi. Vivono anche nei boschi, come quello di Noulù e si cibano di bacche e di erbe, prodigandosi ad aiutare chi ne ha bisogno. La loro bellezza e incrinata da qualche elemento animalesco o demoniaco (piedi o gambe di capra, calcagni rovesciati, coda di pesce come le sirene). Gli stessi appellativi definiscono però anche donne molto brutte, grandi, vestite di nero, con lunghi seni pendenti, malefiche e vendicative.
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...sono pubblicati i racconti orali di vari paesi della provincia: Cortina, Tai di Cadore, Domegge, Lozzo ecc... 

Longane
La sorella di mia nonna, mia zia Teresa, veniva là, ci teneva in braccio e ci raccontava storie che ci terrorizzavano. Adesso non si usa neanche più.
D.    Ascolti, so che lei sa quella delle Longhe Longane?
        Longhe Longane...una volta su a Deppo, c'è un antro delle Longane, l'ho visto io, il buco delle longane. Un antro grande, grande, grande, e dopo quell'antro va giù, er portava nelle cantine di quelli di Deppo. E là mancavano sempre salsicce, di uno che si chiamava Celio. E non sapeva da dove venissero: erano le Longane che andavano giù nell'antro sopra Depo, e andavano giù e mangiavano tutte le salsicce di Celio da Deppo.
       Queste qua sono verità però.
D.    Mi scusi ma queste Longane chi erano?
        Ah mia nonna diceva queste cose qua, le Longane poi.


(da ricerca sul Web)

L'ANGUANA

Magiche, eteree Anguàne.Protettrici dei campi e dei boschi, fate delle fonti, delle vette o delle foreste, erano venerate in tutte le Dolomiti anche se con nomi diversi: Aivane, Longagne, Vagane, Gane, Vivane.
Vivevano presso le acque pure e limpide dove si tuffavano per dimorarvi sottoforma di lontre.
Esseri mitici, alle volte vengono raffigurate come "ragazze dai piedi di capra", perchè, forse, discendevano da sacerdotesse etrusche con i calzari in pelle di capra.
L'Inquisizione le volle trasformare nell' immaginario popolare in specie di streghe.
Ma  nella maggior parte delle leggende esse sono esseri di rara bellezza benefiche e dolci ninfe.
Assai schive, se ne incontri una presso una sorgente puoi considerarti persona assai fortunata!
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Bibliografia:
"Leggende Agordine" Circolo Culturale Agordino-Istituto Bellunese di ricerche sociali e culturali
"Le Dolomiti nella leggenda" ULRIKE KINDL Editrice Frasnelli-Keitsch, Bz.
"I Monti Pallidi" CARLO FELICE WOLFF Cappelli Editore, Bo.
"L'anima delle Dolomiti" CARLO FELICE WOLFF Cappelli Editore, Bo.
"Dolomiti storie e leggende" GARI MONFOSCO Ghedina&Tassotti Editori, Bassano del grappa Vi.
.......e la gente di queste valli.


 *************************************************************************************NOME: Agana. Il nome deriva dal latino "aqua" (acqua) o "anguis" (serpente). Si trova anche con il nome di Pagana, Fada o Strìa.

 DOMICILIO: vive in gruppo nelle grotte vicino a sorgenti, fiumi o pozze d'acqua, nella zona delle Prealpi e Alpi Carniche.

ETA': giovane ragazza.

ASPETTO: Per tre giorni la settimana ha l'aspetto di una giovane donna bellissima, splendente, con lunghi capelli biondi, vestita di bianco o con abiti chiari; per altri tre appare sotto forma di animale (salamandra o biscia d'acqua).

CARATTERISTICHE: le agane sono ninfe acquatiche che lavano i loro panni nei torrenti o nei fiumi di montagna e li stendono poi ad asciugare sull'erba dei prati. Escono al chiarore della luna, amano la musica e la danza e, spesso, si incontrano in alti pianori a ballare tra loro, con le streghe e con i folletti dei boschi. Sono generalmente benevole e ricambiano con favori i benefici ricevuti dagli uomini: "Una donna di Poffabro portava un pesante carico di granoturco, quando, lungo un ripido sentiero sulla montagna, incontrò una salamandra prossima al parto. La donna l'aiutò e la salamandra si trasformò in una bellissima anguana e le diede un gomitolo di filo per fare i vestiti ai suoi bambini. Il gomitolo non finiva mai e la povera donna poté filare e tessere anche per i figli dei figli…"

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Folclore e racconti sulle grotte di Valdagno

di Massimo Longo

L'essere umano, in epoca primitiva, ha vissuto in intimo contatto con il mondo cosiddetto ipogeo. Fin dalla sua comparsa, infatti, l'uomo si è servito di caverne, covoli ed antri per svariati motivi: rifugi dalle intemperie, luoghi di riparo da attacchi di animali feroci, sacri ritrovi adibiti alla sepoltura dei propri morti e altro ancora. L'avanzare della civiltà ha gradualmente portato l'uomo a staccarsi da tale ambiente avvicinandolo ad un altro ricco di edifici artificiali da lui stesso progettati e costruiti, senza però dimenticare il passato utilizzando ancora una volta le caverne come stalle o come rifugi occasionali in caso di maltempo. Con il Medioevo le grotte diventarono un luogo da evitare in quanto considerate tetri rifugi di streghe, maghi ed eretici entrando di conseguenza a far parte dello "sconosciuto". In breve tempo esse furono nuovamente abitate da esseri fantastici che arricchirono di leggende l'immaginario popolare ossia: gnomi, streghe, draghi, elfi, orchi e fate.

Ecco così che queste misteriose creature iniziarono a ridar vita a covoli nascosti nei boschi inesplorati arricchendo di conseguenza anche la nostra vallata di nuovi personaggi come anguane, fade, strie, done salbeghe e salbanei. Le grotte quindi, attraverso le leggende, il fantastico e le paure, divennero il soggetto di quel che viene chiamato "el filò" raccontato dai nostri nonni, bisnonni e trisnonni nelle lunghe serate d'inverno.